giovedì 26 settembre 2013

ECONOMIA CUBANA, NUOVE REGOLE DEL GIOCO

“Economia cubana, nuove regole del gioco” è l’argomento trattato lo scorso mercoledì 18 settembre presso la sede nazionale dell’Associazione Hermanos Saìz nell’abituale spazio del Pabellòn Cuba sulla Rampa havanera. Il professore universitario Oscàr Fernandez Estrada, il giornalista Ariel Terrero e l’economista Juan Triana, hanno illustrato ai numerosissimi presenti le prospettive, i successi ed i ritardi del processo di trasformazione dell’economia cubana, quello che viene chiamato “actualizzaciòn del modelo economico”. Juan Triana in particolar modo si è soffermato sulla necessità di assecondare i cambiamenti in atto come necessità irrinunciabile per il proseguimento dell’esperienza socialista cubana che vede lo sviluppo dell’economia come un traguardo prioritario per soddisfare la domanda di benessere della famiglia cubana. La situazione socio-economica cubana vede la soddisfazione della famiglia posta ad un livello ben più alto rispetto agli altri paesi latinoamericani, infatti l’economista cubano ritiene che se per una famiglia boliviana la soddisfazione può essere raggiunta quando si riesce a mandare il figlio a scuola, per quella cubana questa necessità è stata assicurata dalla Revoluciòn da almeno 40 anni. Lo stesso esempio vale riguardo ad una famiglia del Salvador che si sente soddisfatta se due o almeno uno di tre figli riesce a raggiungere l’età adulta, obiettivo che a Cuba è stato garantito fin dagli albori della Revoluciòn. La famiglia cubana, esente da preoccupazioni riguardo beni primari come la casa, lo studio, la medicina, la cultura, l’acqua e l’energia elettrica, vede l’asticella che delimita il livello di soddisfazione posta ad un livello ben più alto, molto vicino a quello dei paesi sviluppati. D’accordo con l’illustre economista, credo anch’io che l’autobus che passa vicino a casa ad intervalli brevi, una migliore manutenzione delle strade, un salario che permetta di acquistare il pane ma anche le rose, un migliore funzionamento delle strutture burocratiche spesso lente e farraginose, insieme all’eliminazione dell’enorme quantità di funzionari che non “funzionano”, siano le mete che le famiglie cubane si aspettano per continuare a sentirsi protette dalle conquiste della Revoluciòn. Il dibattito con il pubblico in sala che è seguito alle relazioni dei tre specialisti è stato, come sempre succede a Cuba, molto vivo ed interessante, oltre che segnato da quell’esclusiva capacità che hanno i cubani di ridere di se stessi e dei propri problemi, come nell’intervento di un produttore agricolo che ironizzava sul fatto di produrre ciliegie che non può vendere perché nessuno ha stabilito il prezzo di un prodotto che qui è ancora raro. Oppure quell’altro signore che ha risposto ad un intervenuto che lamentava la mancanza di lotta di classe, dicendo che in cambio qui a Cuba abbiamo una “clase de lucha”. Un capitolo che a mio parere non è stato debitamente affrontato e che denota che spesso a Cuba si guarda con superficialità ed ingenuità a quello che suppostamene c’è oltre il mare, riguarda la questione del basso salario. Ad un giovane presente che ha posto il problema lamentando che da qualche anno si parla di cambi nell’economia però i salari continuano ad essere ridicoli, uno dei relatori ha risposto portando l’esempio della Cina dove il cambio del modello economico è iniziato nel 1978 ma i primi cambiamenti significativi sono iniziati ben dieci anni più tardi dopo dibattiti, accorgimenti e correzioni che hanno permesso di trovare la via giusta. Questa risposta a mio parere è corretta però incompleta in quanto non si è analizzato a dovere il concetto di salario ridicolo, che in effetti lo è ma non in assoluto come si pensa e come la propaganda anticubana vuole far credere. Sul fatto che un salario medio che ora si aggira intorno ai 500 pesos al netto degli incentivi che spesso lo raddoppiano, sia da ritenere nettamente insufficiente a soddisfare i bisogni dei cittadini, è più che vero, ma è altrettanto vero che lo sono pure i salari di tutti gli altri paesi dell’area, ed in questi tempi di crisi anche dei paesi economicamente sviluppati. A testimoniarlo sta una ricerca della CIA, resa nota da un documento segreto che tale non è più in quanto carpito dagli archivi dell’intelligence americana, che per i suoi scopi strategici di rimettere sotto il proprio controllo i paesi latinoamericani che gli stanno sfuggendo di mano, ha effettuato una ricerca per valutare l’effettivo stato di benessere di quelle popolazioni. Con estrema sorpresa da quel documento si apprende che Cuba risulta essere seconda solo al Brasile in grande sviluppo economico, in quando ad “ingresso” pro-capite. Proprio nel fatto che la CIA abbia indagato sull’ingresso anziché sul salario, sta il segreto della ricerca che infatti non considera il salario attendibile per conoscere il livello di soddisfazione economica della popolazione. L’importo del salario è solo una componente molto relativa in quanto non quantifica la quantità di servizi ricevuti ma spesso viene pure profondamente stravolta dall’aggressione impositiva e dall’alto costo dei servizi di cui il cittadino necessita. Per esempio da noi il salario quasi mai è sufficiente a soddisfare le necessità, ogni acquisto è sottoposto a tasse di ogni tipo, i sevizi come la casa, il gas, la luce, l’acqua, la spazzatura, i trasporti, l’alimentazione, la scuola , la salute, l’accesso alla cultura, ecc. hanno costi proibitivi per coloro che sono costretti a vivere con le sole risorse di uno stipendio e l’aggressione verso il salario diventa sempre più pesante con imposizioni di multe salatissime per ogni minima infrazione, pagamento di bolli e diritti sempre più elevati, interessi bancari altissimi e tassazione dei risparmi, necessità di ricorrere a costose consulenze per qualsiasi pratica e balzelli sempre più esosi da parte di costosissimi organismi burocratici istituzionali che si moltiplicano a dismisura come Comuni, Province, Regioni, etc. Per tutti questi motivi la ricerca della CIA si è basata sulle entrate effettive dei cittadini valutando il costo della scuola, di un corso universitario, della sanità, dei beni primari quali la casa, l’acqua, la luce, il gas e l’accesso alla cultura come allo sport ed allo svago. Visto che tutti questi sevizi a Cuba sono gratuiti o fortemente sussidiati, si spiega facilmente come il salario ridicolo in effetti sia meno ridicolo di quanto si pensi, o ci fanno pensare. Purtroppo l’enorme apparato propagandistico del capitalismo imperialista riesce a camuffare la grande truffa che in misura sempre più opprimente sta schiavizzando le masse popolari del pianeta che dopo la riuscita del piano di distruzione dell’Unione Sovietica non trova praticamente opposizione concreta. Il successo delle trasformazioni economiche in atto a Cuba, insieme alle conquiste dei governi progressisti del Latinoamerica, sono l’ultimo baluardo di speranza per l’inversione delle tendenze in atto e per il recupero della coscienza di classe delle classi sfruttate che si allargano sempre più anche a quelle classi medie che fino ad oggi sono rimaste alla finestra senza preoccuparsi dei problemi che affliggono l’esistenza dei meno fortunati ma che ora interessa pure loro. Una buona notizia arriva proprio dagli Stati Uniti dove il movimento Occupa Wall Street ha messo in rete un documento dove si afferma che è necessario porre fine al capitalismo. Era ora, ma forse è già troppo tardi, decenni di assopimento possono risultare fatali.

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